La Corte di Giustizia ridimensiona l'equo
compenso
Le aziende non devono pagarlo. Illegittima
l'applicazione indiscriminata voluta dal decreto Bondi.
Alla fine dell'anno scorso la Siae ebbe un motivo in più per
stappare lo spumante: il 30 dicembre il ministro Sandro Bondi
aveva infatti firmato il decreto che estendeva l'equo compenso
anche ai cellulari, ai decoder e ai computer.
Da allora ogni dispositivo dotato di memoria e venduto in Italia
vede crescere il proprio prezzo a causa di quella che la Siae
continua a non voler definire una tassa. Il suo scopo sarebbe
compensare gli artisti per i mancati introiti derivanti dal fatto
che dette memorie potrebbero essere utilizzate per piratare le
loro opere.
Il "balzello sulle intenzioni" non piace a nessuno - a parte
coloro i quali incassano le somme - ma ora il sospetto che sia
palesemente ingiusto è diventato una realtà grazie a una sentenza
della Corte di Giustizia Europea.
L'Italia non è l'unico Paese dell'Unione in cui esiste l'equo
compenso: un'azienda spagnola, la Padawan, s'è rifiutata di
pagarlo alla Sociedad General de Autores y Editores e per chiarire
la vicende la Corte di Giustizia è stata chiamata in causa.
Così i magistrati del Lussemburgo hanno finalmente fatto chiarezza
sull'applicazione del compenso, definendolo in maniera più precisa
e mostrando di conseguenza come il decreto dello scorso anno sia
incompatibile con la legislazione europea.
La Corte ha infatti stabilito che il compenso deve essere pagato
dai consumatori finale ma non dalle aziende; inoltre può essere
applicato soltanto su quei dispositivi destinati alla
duplicazione, non a tutti quelli che in teoria ne sarebbero in
grado.
In altre parole è corretto che ci sia il balzello sui CD, ma non
lo è altrettanto imporlo, per esempio, sui cellulari. Né le
aziende, che comprano dispositivi di memorizzazione in quantità
per esigenze lavorative devono sottostarvi.
"È necessario" - si legge nella sentenza - "un rapporto tra
l'applicazione dell'equo compenso per copia privata in relazione
ad un dispositivo o supporto ed il suo utilizzo per l'esecuzione
di una copia privata".
"L'indiscriminata applicazione dell'equo compenso, in particolare,
in relazione a dispositivi o supporti distribuiti a soggetti
diversi dai consumatori e evidentemente riservati ad usi diversi
dall'effettuazione di copie private, è incompatibile con la
disciplina europea contenuta nella Direttiva 2001/29".
I giudici della Corte Europea non avrebbero potuto essere più
chiari. Ora resta da vedere se e quando il pronunciamento produrrà
la necessaria rettifica nella nostra legislazione.
[ZEUS News -
www.zeusnews.com
- 25-10-2010]
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